
Quarantacinque minuti spesi a parlare gesticolando in tono concitato e adesso nella stanza c’è quel silenzio carico di tensione che precede un verdetto. Per fortuna non sono distesa su un lettino né su una chaise longue, ma seduta su una comoda poltrona in pelle che mi permette di guardare negli occhi il dottor Foresta.
Il volto serio e i muscoli del viso inamovibili sono in parte nascosti dalla folta barba, in contrasto con la testa calva. Ho un’inquietudine come quando andavo a scuola, prima di un’interrogazione. Sarà per questo che parlo troppo e con un tono alto. “Non c’è verdetto e non c’è giudizio, Olivia” mi ripeto per calmare l’ansia. L’ambientazione non aiuta. Sono circondata da pareti con boiserie in legno scuro e l’unica finestra a due ante affaccia su un cortile interno, cosicché la luce proviene da un lume sulla scrivania che mi fa desiderare di regalare al dottore una lampadina nuova.
In più, per nascondere ai pazienti il vizio delle sigarette, respiro tutte le novità spray ambiente mangiafumo che la segretaria spruzza, ne sono certa, tra una visita e l’altra, sostituendo l’olezzo chimico al ricambio d’aria.
Non è facile perché lui, oltre ad essere il mio psicologo, è il consulente di coppia dei miei genitori ed è in una posizione di grande vantaggio. Conosce i loro problemi e i loro segreti e penso mi legga nel pensiero, il che vìola la mia privacy. Dopo tre mesi di terapia dei miei, il dottore ha proposto che iniziassi anch’io un percorso con lui, pur non conoscendomi, dati i fatti.
Mia sorella per il momento è esentata, il che ha nutrito la mia curiosità, che tale è rimasta.
“La paura di qualcosa ci fa assumere atteggiamenti finalizzati alla realizzazione della stessa. La tua è quella di rimanere sola al mondo e, per poterla realizzare, ti sei sempre imbarcata in relazioni a distanza. Nel tuo passato c’è una relazione a distanza finita e nel tuo presente c’è una relazione a distanza in atto. Olivia, non ti sei mai confrontata con l’amore di tutti i giorni, il tuo è un sentimento che appartiene ai weekend e ai giorni di festa” ecco il verdetto.
“Non l’ho scelto io, è capitato, come il giorno in cui si viene al mondo. Qualcuno decide per noi, ufficializzando la pratica con un certificato di nascita che non si può modificare. Sul mio c’è scritto che mi chiamo Olivia Alcantara e che sono nata a Roma il 10 giugno 1990. Non ho deciso il luogo, né tantomeno il giorno, il mese o l’anno.”
“Come tutti del resto” mi risponde il dottore sottolineando l’ovvietà della mia riflessione.
Morale della seduta, veniamo al mondo per volere altrui e ciò che accade dopo è il frutto di una decisione non nostra. Non sono certa che il dottor Foresta intendesse questo ma, questo, è quello che ho capito io.
Non esco mai soddisfatta dall’elegante stabile in via Cola di Rienzo 25. Ho quella sensazione di essermi esposta troppo con un uomo di cui non so nulla e rimugino su quello che avrei potuto dire o fare. Non condivido l’idea di dover andare in terapia, i problemi non sono i miei, ma se non avessi accettato sarei stata accusata di essere una figlia egoista a cui non frega nulla dei suoi genitori.
“Mi scusi” dico alla donna che passeggia assorta nel lusso delle vetrine primaverili a febbraio.
“Mi scusi” faccio mentre scanso due uomini intenti a discutere compiaciuti l’ultima vittoria della Roma.
“Mi scusi” corro urtando il ragazzo con le air pods alle orecchie e la sbadataggine negli occhi quando si accorge di me.
Ho appuntamento nel caos del sabato pomeriggio in centro con Leonardo. È appena rientrato da Firenze e riparte domani.
Scorgo dietro ai vetri la sua figura, seduta sul divanetto in velluto rosso al solito tavolo, mentre si gode lo stile vintage chic di via Vittoria, senz’audio. La Buvette non è l’unico caffè di questa elegante stradina del centro, ma è il più raffinato. La clientela è elegante, il menù propone prelibatezze e si può scegliere tra un tavolino all’esterno, per farsi vedere, o uno all’interno, illudendosi di essere in un caffè parigino. È il nostro posto da tre anni.
Mi fermo qualche istante a guardarlo da qui avvolta dall’aroma di caffè e cioccolato, mentre lo vedo prendere il cellulare e fare una telefonata. Un attimo dopo il mio telefono suona.
“Ehi, dove sei?”
“Sono qui, sto entrando”.
Lui si volta, i nostri occhi si incrociano, le sue labbra si piegano in un sorriso forzato ed io scopro di non essere abbastanza forte. Non voglio sentirmelo dire, preferisco scappare ed immaginare un finale tutto mio. Non qui, non nel posto che racconta la nostra storia.
Ho preso a correre veloce, non riuscivo a fermarmi. Ho attraversato via del Babuino, piazza del Popolo, e il ponte che porta a Cola di Rienzo. Mi sono fermata solo quando ho raggiunto il numero 25. Ho bussato nello stesso modo concitato in cui parlo quando sono qui e il dottor Foresta, pur in procinto di lasciare lo studio, ha accettato di concedermi del tempo.
Non mostra segni di interessamento sul perché io sia di nuovo lì, la curiosità non appartiene agli psicologi.
Non temporeggio, non conto fino a tre, non sono attenta alla scelta delle parole, non abbasso lo sguardo e non tocco i capelli neanche una volta. Un’Olivia al contrario.
“Se da questo momento le racconto solo la verità, lei mi promette di non dire nulla ai miei?”
“C’è il segreto professionale, non potrei in ogni caso.”
“Ho paura del buio e se la notte non esistesse la mia vita sarebbe migliore. Da un’ora circa la mia relazione a distanza in atto non esiste più.”
Sapevo che le lacrime avrebbero tradito il mio coraggio di paglia.
“È una grande opportunità, potrai verificare se lo ami davvero o se era solo paura di stare da sola.”
“Come?”
“Ricordi quando hai detto che ti svegli la notte con difficoltà a respirare? Accetta di stare male e attraversa il fossato.”
Le timide lacrime iniziali si sono trasformate in cascate singhiozzanti. Il dottor Foresta mi lascia fare. Dopo un po’ accenna un colpo di tosse e mi dice:
“Olivia, la prima volta che sei stata qui mi hai detto che era un favore che stavi facendo ai tuoi. Ti sei sempre impegnata, in ogni seduta, lo riconosco. L’impegno, però, è un vincolo morale, un obbligo verso qualcun altro. Da quel giorno, tutti i nostri incontri hanno risuonato dello stesso copione. Tu che ti impegni a fare qualcosa nella vita per non deludere gli altri. Tu che ti impegni a far funzionare l’amore, anche se a distanza. Olivia, vivere ci deve venire naturale.”
Ho passeggiato con la mente avvolta nel fumo di decine e decine di versioni di ciò che sarebbe potuto essere.
Dopo la mia fuga nessuna telefonata, messaggio, o mail di Leonardo ha dimostrato che mi sbagliassi.
Avevo ragione mentre desideravo avere torto.
E nella testa le parole del dottor Foresta.
“Vivere ci deve venire naturale.”
…per il momento accontentatevi. Il dottor Foresta e Olivia torneranno presto per raccontarvi come è andata a finire.