Una spinta sulla schiena mi ha buttato in mare come da bambini, solo che a quel tempo mi divertivo, oggi mi volto per vedere chi è stato. Precipito in una lunga caduta, mentre l’aria si apre al mio passaggio. Ho terrore dell’acqua fredda, troppo profonda, dei pesci che mordono, di affogare tra le onde, di sbattere contro gli scogli. La discesa diventa un viaggio di paure e preoccupazioni. Poi le mie urla, un istante prima dell’incontro con il mare. Vado sotto, parecchio sotto. Non vedo, non sento, non respiro, non riesco a muovermi. Non so a cosa aggrapparmi per non smettere di sperare. Sto morendo, penso. La discesa non si ferma, mi hanno lanciato da una grande altezza, con una spinta forte. Se si fosse avvicinato un pesce non avrei avuto paura che mi mordesse, gli avrei chiesto di aiutarmi a tornare su. Le onde che avrebbero potuto affogarmi le avrei usate per galleggiare e sugli scogli mi sarei arrampicata per riemergere. Tutto quello che mi spaventava avrebbe potuto salvarmi, ma non è servito. Un istante prima di morire mi sono salvata da sola, ho iniziato a nuotare. Una volta qualcuno ha detto che se vuoi raggiungere il castello devi attraversare a nuoto il fossato. Io al castello non sono ancora arrivata, sto nuotando nel fossato, ma mi muovo in avanti.
Non avrei mai avuto il coraggio di lanciarmi da una roccia altissima tra gli scogli, nel tratto di mare più profondo, qualcun’altro ha scelto per me. È una sfida che mi è capitata, non ho nessun merito, se non quello di averla accolta. Quando mi volto e vedo il volto di chi l’ha voluta penso che sì, era necessaria.
Mariapiera Miele